E’ questa una delle tante affermazioni che spesso impedisce a tante persone di provare l’esperienza del palco, seppur in modo amatoriale.
A molti tornano in mente le paure scolastiche legate alla “poesia da imparare a memoria” che terrorizzava pomeriggi interi e levava il sonno fino al mattino, quando, con un po’ di sbirciatine sul libro, qualche imbeccata dell’amico del primo banco, si riusciva a concludere eroicamente quel sonetto di Dante o di Leopardi.
Ora questa pratica è pressoché scomparsa nelle scuole dove, anche lì, pare tutto affidato alla memoria virtuale del pc.
Ma per fare teatro, appunto, ci vuole memoria.
Pare una sfida impossibile. Eppure ogni anno, nei laboratori della Mandragola Teatro tenuti a Villa d’Agri da Giulia Gambioli, questo duello con i propri neuroni coinvolge i partecipanti delle varie sezioni: da quella dei bambini fino ad arrivare ai più titubanti componenti della sezione adulti.
I laboratori iniziano a settembre, ma è a gennaio che si inizia lo studio del testo che porterà al saggio tra fine maggio e giugno.
Dopo le sbornie post-natalizie, ancora non del tutto smaltite, arriva il fatidico momento della consegna dei copioni. La curiosità di scoprire il proprio personaggio è molto forte ed è un momento sicuramente eccitante, ma, soprattutto nei più grandi, questa euforia si tramuta in una sorta di ansia strisciante, che cresce appena si incomincia a dare la prima lettura del testo. Quasi si rimpiangono i pochi versi di “A Silvia” di Leopardi, quando si iniziano a tracciare con l’evidenziatore le proprie battute, che aumentano inesorabilmente pagina dopo pagina.
I veterani dei laboratori fingono, senza troppa convinzione, una certa sicurezza di fronte a chi si cimenta per la prima volta.
Indubbiamente, memorizzare una parte e farla propria, in modo da non ripeterla meccanicamente, richiede un certo impegno. Sia per i professionisti sia per chi si cimenta a livello amatoriale non esiste un metodo unico per tutti. Ognuno, con l’esperienza affina propri metodi.
Ad esempio, Luigi, che da anni segue i corsi della Mandragola Teatro, utilizza da poco il metodo tutto tecnologico di registrare le prove col suo smartphone, per risentirle più volte durante la settimana. Un metodo più tradizionale è quello di Vittorina, Annamaria e Francesca che dopo le prime letture, cercano di nascondere le varie battute con le dita semichiuse in modo da poter dare all’occorrenza qualche sbirciatina. C’è chi poi riesce ad avere un aiuto a casa. E’ il caso di Teresa che approfitta della pazienza della mamma che le porge le varie battute. Angela, invece, ha il suo “sparring partner” nella sorellina. Giulia ammette che le serve molto la memoria uditiva che si acquisisce prova dopo prova. Daniela è sulla stessa linea, pero’ ammette candidamente che impara prima le battute degli altri. Giuseppe è sempre alla ricerca del “metodo perfetto”, sillabando, scrivendo e riscrivendo le battute, usando evidenziatori di colore diverso.
In tutti i modi, però, è un lavoro che inizia a casa, nei ritagli di tempo, magari la sera in disparte per evitare di essere presi in giro dai propri familiari. Nei primi tempi è indubbiamente faticoso, poi, man mano, provando e riprovando, settimana dopo settimana, avviene la magia. Il copione viene aperto sempre di meno e le parole di un monologo di Pirandello, di un dialogo di Campanile, o le battute di una commedia di Fayad, che all’inizio parevano lontane nel tempo, incominciano a far parte della vita di tutti i giorni.
Così si arriva alla sera del saggio. Belli, pronti e sicuri di aver fatto un bel lavoro. Ma basta un’ultima sbirciata dalle quinte e, all’improvviso, la paura della memoria, ritorna come un incubo.
La sala del centro sociale di Villa d’Agri è piena di amici, parenti, ma anche e soprattutto, di estranei. Il primo pensiero è quello di voler fuggire. La mente incomincia a fare brutti scherzi e ci si immagina piantati in mezzo al palco senza ricordare neanche una virgola, fra l’imbarazzo generale.
Ma non c’è tempo per i timori: si va in scena.
Il saggio viene portato a termine in modo brillante. Come sempre.
Gli applausi finali accompagnano la soddisfazione di una sfida vinta con sé stessi.
Ognuno in cuor suo si sorprende sempre, come, nonostante la mole di battute, l’emozione, la paura, sia potuto arrivare alla fine.
E qui scatta un’altra ritualità. Infatti, nell’euforia dei saluti e dei complimenti, ci sono sempre quelli che vengono incontro a chiedere, con aria stupita e incredula: “Ma come avete fatto a imparare tutto a memoria?”.
Lo chiedono proprio a te.
Tu li guardi e non riesci proprio a dare una risposta, ma concedi loro un’espressione di compiacimento, da attore consumato.
Infatti, inutile dirlo, tra costoro, ci sono anche loro. Sì, proprio loro, gli stessi familiari che ti prendevano in giro fino a qualche settimana prima.
di Giuseppe Saponara 13/05/2016